La scrittrice e giornalista Annarosa Macrì* ha pubblicato venerdì 28 febbraio 2014, sul «Quotidiano della Calabria», nella rubrica delle lettere di cui è titolare, uno scambio di messaggi a proposito di Menon intercorso tra lei e Cesare Sartori. «Un piccolo seme di poesia… - scrive Macrì - e grazie per avermi fatto innamorare di Menon».
Ecco il testo delle lettere Sartori-Macrì:
Gentile Annarosa Macrì,
sono ancora sotto la forte impressione provata nel leggere l’intenso ricordo che lei ha scritto qualche tempo fa su questo giornale e che è contenuto nel volume L’ombra assidua della poesia – Lorenzo Calogero 1910-2010, edito da Rubbettino e curato da Vito Teti. Lei si chiederà perché le scrivo. E’ presto detto: intanto perché Lorenzo Calogero l’ho amato moltissimo anch’io (e continuo ad amarlo) fin da quando, nel gennaio 1968, a 5 mesi dall’esame di maturità, mi imbattei nel primo volume delle sue Opere poetiche pubblicato da Lerici. In secondo luogo perché all’altro capo dell’Italia, a Udine, è vissuto e ha scritto poesia un altro grande ma assolutamente (o quasi) sconosciuto irregolare: Gian Giacomo Menon, nato lo stesso anno di Calogero, morto a 90 anni, che ha scritto più di 100mila poesie, molto più di un milione di versi (ma in vita ne ha pubblicate soltanto 200!). Una produzione imponente e sterminata per dimensioni fisiche e invenzione verbale. Ora un gruppo di ex allievi, di cui faccio parte (Menon insegnò filosofia e storia al Liceo Stellini di Udine per trent’anni), ha deciso di fare qualcosa per evitare che l’oblio cada definitivamente su di lui. È stato costituito un Fondo documentario a suo nome alla biblioteca civica Joppi di Udine (ricco di almeno 16mila poesie inedite); è stata istituita una borsa di studio post lauream per il riordino e la catalogazione del suddetto materiale; un editore coraggioso come Nino Aragno, che si è innamorato del progetto, ha appena pubblicato un canzoniere d’amore inedito di Menon: Poesie inedite 1968-1969, Torino 2013,
Due righe infine su chi le sta scrivendo: nato a Udine nel 1949, laurea in filosofia all’università di Trieste quindi in Toscana, prima a Firenze e poi a Pistoia, dove ho fatto il giornalista alla “Nazione” per trent’anni. Sono anche il curatore dei libri di Menon e il promotore di quello che ormai per comodità chiamo il “Progetto Menon”.
Grazie per l’attenzione. Cordiali saluti
Cesare Sartori – Pistoia
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Ho dovuto per forza di cose, e di spazio, tagliare parte della sua bellissima lettera, caro Sartori, e passato per competenza al prof. Vito Teti la sua proposta di uno studio comparato dei due grandi poeti irregolari, il “mio” Calogero, che mi appassionò da ragazzina e sulla cui poesia, non so quanti anni fa, feci la mia tesi di laurea, certo la prima su di lui, all’Università Cattolica di Milano, e il “suo” Menon, che ho imparato a conoscere grazie a lei e che mi ha lasciata sbalordita per le assonanze esistenziali (a cinquant’anni si “suicidò” anche lui, ritirandosi dal mondo in solitudine totale), poetiche (“io so la figura ed è ape e gheriglio…”), ed estetiche (la parola aerea ossessiva protuberanza della vita) con Lorenzo Calogero. Invito con lei chi volesse accostarsi alla “vita incandescente delle parole” di Menon a procurarsi il libretto appena pubblicato da Aragno: si rifaranno l’anima di poesia, che è sorpresa ed è stupore, sempre, come poetica e misteriosa è la simmetria nel tempo (Calogero e Menon nacquero nello stesso 1910) e nello spazio delle vite dei due poeti: Calogero nacque a Melicuccà, mille abitanti ai confini della provincia reggina, e Menon ai confini della provincia di Udine, in un paesino anch’esso di mille abitanti, dal nome tragico di Medea, e come si fa a non pensare a Pasolini, che era anche lui friulano?. Per averli fatti incontrare su questa pagina non finirò di ringraziarla, caro Sartori, e insieme ringraziamo la mia dea più amata, quella della casualità: solo l’arte (delle parole, dei colori, della musica, delle immagini) riesce a compiere miracoli così grandi. Bisognerebbe coccolarli, aiutarli, sostenerli i poeti, i pittori, i musicisti, gli scrittori, abbassare la voce quando si passa accanto alle loro case: “qui sta lavorando un artista, anche per noi”. Perché sono i nostri ambasciatori di bellezza, quelli che esportano una certa idea di come siamo e di come vorremmo essere, che sfugge ai piatti piangenti del Pil, della disoccupazione e della mafia. E la bellezza, vorrei dire a Gian Antonio Stella e alla stereotipata e moralistica versione che ne ha dato a Sanremo, parafrasando fuori luogo, e non solo perché si trovava su un brutto palcoscenico, mons. Bregantini, non concide con il “carino” o il “grazioso” o il “pittoresco”, ma spesso è ruvida, ermetica, spigolosa, tagliente. Come il lungomare di Locri. O come questi versi: “cielo di nere polveri / dove puntano in fretta lune verticali / e sono senza parola le assolute presenze…”. Sono di Calogero o di Menon?
Annarosa Macrì
(sta in Quotidiano della Calabria, 28 febbraio 2014, pagina delle lettere)
Pennino