Giacomo Trinci su Menon
Mi sento felicemente assediato dalle figurazioni, immagini, emblemi, migrazioni mentali e fisiche di Menon, e ti ringrazio di avermi fatto partecipare a questo incontro con un uomo così intelligente, curioso, ferito. Immagino, da quello che tu stesso scrivi dei tuoi anni trascorsi alla sua scuola, la sua presa di vita, la sua presenza. Quello che colpisce subito ad una prima lettura rapinosa, è la frenesia con cui le immagini si presentano subito in forma emblematica, come era un po' tipico della letteratura simbolistica, ma insieme, caratterizzata da una freschezza e un'ingenuità che ne rendono aspre e nuove anche le cadenze più abusate. Mi piace anche la sovrana noncuranza con cui tratta anche la forma epistolare, la lettera, appunto, come incalzata da una ritmica incalzante, da una metrica del cuore. Penso proprio che, per quanto riguarda una raccolta poetica, sarebbe giusto rispettare la il carattere "scapigliato" ed aspro del suo passo, fedele appunto al carattere dell'uomo.
Caro Cesare, scusa per il leggero ritardo con cui ti rispondo, ma sono giorni un po' pieni per la scuola e tutte le altre "benedizioni" del quotidiano. E poi, volevo ritagliarmi una stanzetta di concentrazione per la lettura dei versi di Menon, che svolta sempre più, in queste poesie che io amo chiamare con l'epiteto dei "non luoghi" della poesia vera, a delineare il cupo, estremo strazio di un Reale doloroso e vitale, eccitato e desideroso, insieme, di spegnimento. Insomma, in queste trenta stazioni, si canta, Cesare, la croce della Carne. Mi hanno fatto venire in mente certe poesie di Testori, senza il carme cristiano che in Testori lacrima di eros. Qui no, abbiamo superato l'eros, in asciutto,prosciugato, disperato scheletro pornografico.E qui sta la novità vera, a pare mio. Ne parliamo quando ci vediamo. Ti ringrazio di avermi dato il privilegio di conoscere questa intelligenza poetica così fervida e crudele, sventata e necessaria.
Giacomo Trinci